Nel marzo 2025, gli Stati Uniti hanno ufficialmente preso le distanze dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite.

La decisione, annunciata dalla Missione americana all’ONU, segna una rottura rispetto all’impegno internazionale del Paese su temi chiave come la lotta al cambiamento climatico, la riduzione delle disuguaglianze e lo sviluppo sostenibile.

Questa netta inversione di tendenza è giunta dopo mesi di progressivo disimpegno delle grandi aziende americane dai principi ESG e dalle politiche di diversity & inclusion. Emblematici, in questo senso, il ridimensionamento delle politiche D&I di Meta e il ritiro di BlackRock dalla Net Zero Asset Managers Initiative.

Dagli Stati Uniti all’Europa

Negli Stati Uniti, il cosiddetto backlash ESG ha portato diversi Stati repubblicani ad adottare misure per scoraggiare investimenti basati su criteri ambientali e sociali, accusati di penalizzare l’industria tradizionale e di promuovere un’agenda ideologica.

In Europa, questo fenomeno si sta traducendo in una spinta alla semplificazione delle normative ESG, con l’obiettivo dichiarato di favorire la competitività. Tuttavia, questa tendenza è sostenuta da alcune rappresentanze politiche e industriali, sollevando preoccupazioni tra gli esperti del settore.

Allentare la presa su questi principi, assecondando questa “inversione nello spirito dei tempi”, rischia – nella lettura di Mario Calderini, docente alla School of Management del Politecnico di Milano e portavoce di Torino Social Impact – di far perdere all’Europa la propria identità e il proprio posizionamento internazionale. Questi principi sono stati la base del suo sviluppo, e metterli in discussione potrebbe ridurre significativamente la sua rilevanza globale.