La ripresa è complicata dalla incertezza internazionale, politica ed energetica. Andiamo incontro a una crisi sociale di proporzioni enormi che si unirà ai problemi del cambiamento climatico. Secondo il portavoce di Torino Social Impact l’ecosistema subalpino (che conta adesso oltre 220 partner) può e deve diventare un benchmark nell’individuare soluzioni innovative per arginare l’onda d’urto. Intanto cresce l’attesa per il “Global social business summit” in programma sotto la Mole il 7 e l’8 novembre prossimi con la presenza del “banchiere dei poveri”, il Nobel Muhammad Yunus.

Ci aspetta un autunno molto complicato. Molto. Il quadro geopolitico internazionale è particolarmente instabile. E domina la questione energetica, esito dell’attacco armato della Russia contro l’Ucraina e acuito dal braccio di ferro tra Mosca e Bruxelles sulle forniture del gas. Il 25 settembre, poi, sono in calendario le elezioni in Italia, mentre il Governo Draghi – a Camere sciolte – è in carica solo per gli affari correnti. C’è la morsa dell’inflazione e il sistema economico è in grande affanno. La forbice delle diseguaglianze sociali rischia di divaricarsi ulteriormente.

In uno scenario come questo potrà dire la sua anche la impact economy? «Assolutamente sì», risponde convinto il portavoce di Torino Social Impact Mario Calderini, docente al Politecnico di Milano: «Dopo la pandemia la sensibilità su questi temi è cresciuta moltissimo. Ci si è resi conto che le relazioni personali sono un asset fondamentale. Ora, purtroppo, ci attende una crisi sociale enorme che s’incrocerà con il climate change. Cosicché il welfare, nel suo modello novecentesco ancora attivo, non è più in grado di reggere l’urto. Torino, invece, ha tutte le capacità di sperimentare un nuovo welfare “trasformativo” in cui collaborino aziende, istituzioni e terzo settore in partenariati innovativi».

Le carte di Torino
L’ecosistema subalpino, in buona sostanza, può e deve inventarsi nei prossimi mesi soluzioni originali e praticabili con arginare l’onda d’urto. E in grado, soprattutto, di diventare un modello di welfare replicabile in altri contesti e capace di generare un efficace impatto sociale. Alla piattaforma, d’altronde, aderiscono ormai oltre 220 partner. I numeri ci sono. Si tratta di un riconosciuto “patto di apprendimento collettivo”. E di punta. Non a caso, il 2022 vede la città sotto i riflettori internazionali. Dal 23 al 25 maggio, com’è noto, ha ospitato il Global Steering Group for Impact Investment Leadership Meeting, incontro annuale degli advisory board nazionali dei vari paesi membri del network coordinato da Ronald Cohen. E il 7 e l’8 novembre prossimi si terrà sotto la Mole il Global social business summit con il Nobel Muhammad Yunus. Torino, incalza Calderini, può così candidarsi a benchmark di un “nuovo modello di tenuta sociale”: «Per questo sarebbe importante che anche il mondo confindustriale aderisse a questo cammino».
Il punto è che “ambiente” e “sociale” non potranno più viaggiare disgiunti. «La tendenza determinata dagli eventi degli ultimi anni – incalza Mario Calderini – è che andiamo verso una stagione in cui le politiche di sviluppo e le politiche sociali avranno necessità di un investimento unico. Il “mercato dei bisogni”, in Italia, vale circa 100 miliardi. E potrà essere abitato soltanto da forme evolute e innovative di economia, una nuova filiera industriale vera e propria, in cui convivono domanda, imprese e finanza. Esistono pezzi importanti di industria, turismo, logistica ultimo miglio, che non saranno più se non sociali. Modelli “for purpose”, cioè processi per il benessere e la sostenibilità, che possono generare una nuova tenuta sociale grazie ad un mix virtuoso tra terzo settore, aziende territoriali e finanza».

Il laboratorio in fermento
Torino, dopo avere perso in questi ultimi anni partite importanti, può ritrovare una leadership internazionale di grande interesse proprio nella impact economy. Non c’è tempo da perdere, però. Né in città, né in Piemonte. «I processi di reshoring (cioè del ritorno di produzioni delocalizzate in altri Paesi, ndr) attivati negli ultimi mesi – osserva ancora il professor Calderini – consentiranno per esempio di ripensare le filiere industriali sulla capacità di creare impatto sociale. Centrandole, cioè, sulla capacità sociale di riorganizzarsi in base alle ricadute. In questo senso bisogna consolidare la nostra cultura degli outcomes-based payments, cioè di costruire schemi innovativi centrati proprio sulla misurazione dell’impatto. È qui che dobbiamo intensificare impegno scientifico, creativo e imprenditoriale: facendo in modo che partenariati pubblico-privati così orientati possano diventare il luogo dove si definiscono nuovi modelli di welfare in cui interagiscono finanza, aziende e sistema pubblico»
In questo senso, i segnali di un buon fermento ci sono. «Bisogna tenere alta la tensione, a maggior ragione in questo periodo», conclude Calderini. Il progetto della Borsa Sociale, comunque, sta andando avanti bene, ha anche ottenuto un finanziamento di Bankitalia. E il sindaco Stefano Lo Russo ha firmato il 5 settembre con Camera di commercio e Compagnia di San Paolo il protocollo d’intesa per la misurazione dell’impatto sociale per la valorizzazione del patrimonio immobiliare e la riqualificazione urbana, che sarà seguito dal Centro di competenza per la valutazione dell’impatto sociale.