Upcycling, ovvero la rigenerazione dello scarto: ecco come a Torino la startup interpreta l’economia circolare unendo business e impatto sociale 

Il mondo della moda è cinico e il diavolo veste Prada. Così, almeno, ci raccontava nell’ormai lontano 2006 il film di David Frankel con Meryl Streep e Anne Hathaway. O meglio, accadeva già nel 2003, con il romanzo best-seller di Lauren Weisberger, di cui la pellicola è la trasposizione sul grande schermo. Non significa, beninteso, che l’universo fashion sia spietato, feroce e cattivo. Ma possono esistere modalità diverse per interpretare design, abbigliamento e creatività, unendo il made in Italy con l’impact economy. Ecco il guizzo di Atelier Riforma, giovane «startup innovativa a vocazione sociale», parte dell’ecosistema di Torino Social Impact.

I talenti

L’idea è nata tra il 2018 e il 2019 durante il percorso “Talenti per l’Impresa” della Fondazione Crt. L’idea è delle due co-founder: Elena Ferrero, 27 anni, cuneese, e Sara Secondo, di 29. Al team collaborano adesso anche altre due persone: Davide Miceli e Irene Maddio.

L’attività dell’azienda? Allungare la vita di utilizzo dei capi d’abbigliamento attraverso la creatività sartoriale e applicando i principi dell’economia circolare. La startup raccoglie abiti usati, anche a domicilio, dà loro nuovo valore e li rivende. Il lavoro di trasformazione avviene grazie alla rete costruita da Atelier Riforma: sarti, modellisti, designer, studenti di moda, brand sostenibili, nonché sartorie sociali in cui lavorano persone in condizioni di svantaggio economico-sociale.

Perché tutto questo? «Il settore della moda è uno tra i più inquinanti al mondo – rispondono Elena Ferrero e Sara Secondo –. L’attuale sistema di produzione è lineare, utilizza cioè risorse spesso non rinnovabili per produrre capi che vengono usati per poco tempo, finendo poi in discarica o negli inceneritori. La “fast fashion” è peggio: sfrutta la manodopera dei Paesi poveri e gli abiti durano mediamente un anno anziché tre. Nulla viene riciclato, è uno spreco enorme. Non è una soluzione neppure il cosiddetto “vintage di lusso”».

L’upcycling

Atelier Riforma sta provando a invertire la rotta: «Utilizziamo i vestiti usati non come uno scarto, ma come una risorsa e cerchiamo di allungarne la vita attraverso l’upcycling – incalzano Elena Ferrero e Sara Secondo –. Si tratta di un vero e proprio processo di riciclo creativo. Nel nostro magazzino vicino all’ospedale Mauriziano cataloghiamo tutti i capi che abbiamo salvato, finora oltre duemila. È importante questo processo poiché vogliamo tenere traccia del percorso di ogni abito e garantire informazione a chi ci affida i propri capi».

Perché? «Esiste un serio problema di trasparenza nella raccolta degli abiti usati – rispondono ancora Elena e Sara – e questo può scoraggiare i cittadini a prendere parte al circolo virtuoso del riuso. A oggi nessuno garantisce a chi dona i propri abiti la trasparenza sulla destinazione della propria donazione. Stiamo realizzando un sistema di tracciabilità che segue il percorso di ogni abito ricevuto: grazie a ciò, il donatore può essere informato sulla destinazione del proprio capo e l’acquirente può apprezzare il lavoro sartoriale effettuato sul capo e essere informato su quali benefici ha portato il suo acquisto all’ambiente in termini di risparmio di risorse naturali».

Tracciabilità e informazione

L’impatto sociale, dunque, si nutre anche di una buona informazione. Nella consapevolezza che Torino ha una sua peculiarità: «Per noi – concludono le co-founder di Ateleir Riforma – impegnarsi nella economia d’impatto significa fare profitto economico e allo stesso tempo portare qualcosa di positivo per la società. È ciò succede quando il beneficio non va solo al consumatore, ma all’intera cittadinanza o a favore del pianeta. Noi ci siamo impegnati a farlo. Abbiamo costruito la nostra rete di realtà sartoriali proprio a Torino perché è una città ricca di opportunità, i cui cittadini sono da sempre attivi e attenti all’innovazione».

Qui il video che spiega come si possa attuare una “riforma” – ecco il nome dell’Atelier – per cambiare un po’, nel nostro piccolo, l’andamento delle cose:
/ www.youtube.com/watch?v=X0c2U8C8Bpw