La presidente dell’Incubatore dell’Università di Torino Fiorella Altruda spiega il metodo con cui 2i3T sta lavorando: interdisciplinarità e coinvolgimento del territorio e degli “utenti finali”«L’innovazione nel Terzo Settore rappresenta una delle sfide maggiori a cui siamo chiamati come scienziati in ambiti che vanno dall’ambiente alla medicina, all’agricoltura, alla formazione, all’economia, all’intelligenza artificiale»

Fiorella Altruda, torinese, classe 1952, ordinario di Genetica molecolare, è la presidente di 2i3T, l’Incubatore dell’Università di Torino. Dal 2013 è anche direttore del Molecular Biotechnology Center dell’Università di Torino e dal 2015 presidente del Bioindustry Park di Colleretto Giacosa. Ha raccolto il testimone di 2i3T in estate dal chimico Silvio Aime che le ha consegnato una realtà orientata al futuro, ma ancora poco conosciuta dai non addetti ai lavori. Eppure, conta novantasei startup create, attive su più fronti: scienze della salute (35%), energia e ambiente (17%), agroalimentare (17%), innovazione tecnologica e digitale (15%) e innovazione sociale (15%). E ancora: 42 brevetti, 37 partnership industriali e finanziarie, oltre due milioni di turnover (cioè di fatturato generato), con soltanto il 15% di fondi provenienti da risorse pubbliche.

2i3T ha il quartiere generale al 52 della trafficatissima via Nizza. È acronimo di: Imprese Innovative, Trasferimento Tecnologico Torino. E ha all’attivo diversi casi di successo: EuremAb, per esempio, spin off dell’Università (Dipartimento di Oncologia dell’Istituto di Candiolo) con 21 milioni di finanziamento nel 2019 per sviluppare anticorpi utili a rigenerare tessuti danneggiati. Kither Biotech (Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita) ha ottenuto 5,6 milioni per lo sviluppo clinico di un nuovo farmaco per il trattamento della fibrosi cistica e altre malattie polmonari. Corion Biotech (Scienze Chirurgiche), poi, sta perfezionando la prima terapia al mondo specifica contro la pre-eclampsia (ovvero la gestosi, una patologia della gravidanza): ha ottenuto un milione di euro da Liftt, l’investment operating company guidata dall’imprenditore scienziato Stefano Buono. Bioclarma, infine, ha messo a punto test salivari importantissimi in questa epoca di pandemia.

Professoressa Altruda, Torino si sta risvegliando o non si era mai addormentata? 
La città è tutt’altro che moribonda. Possiede valori, idee e creatività. Deve imparare di più a far lavorare insieme tutte le sue straordinarie risorse. Bisogna creare “massa critica”, attrarre capitali e cervelli».

In che modo, a suo avviso, scienziati e ricercatori possono contribuire all’impatto sociale?
«In un contesto di evoluzione della conoscenza così rapido e complesso le tecnologie non generano soltanto esse stesse innovazione. Diventano veicoli di contenuti e know-how nell’ambito di un ecosistema complesso che vede coinvolti numerosi soggetti pubblici e privati. Nell’ecosistema dell’innovazione vengono ormai ricompresi anche i possibili soggetti beneficiari – la comunità in senso lato – in una visione proattiva».

Come lavorate in questa direzione a 2i3T?
«L’Incubatore è organizzato secondo un modello che abbiamo definito della “quadrupla elica”: ricomprende il contesto sociale in un ruolo di co-progettazione unitamente agli altri attori dell’ecosistema dell’innovazione. Favorendo e realizzando in questo modo processi di collaborazione trasversale e di condivisione proattiva dei saperi e delle esperienze».

Perché è importante il coinvolgimento di tutti?
«La partecipazione degli “utenti finali” nell’orientare l’analisi delle soluzioni alternative costituisce un fattore moltiplicativo fondamentale dell’impatto della tecnologia e dell’innovazione sulla società. In questa logica l’Incubatore 2i3T organizza eventi e contest – come Made in Research – destinati a sviluppare approcci a problemi basati sul co-design per definire idee e soluzioni alimentate dalla presenza attiva, organizzata e strutturata di più attori».

Oggi si parla molto di sostenibilità e di impact economy: come possono agire insieme ricerca e industria perché si guardi lontano con lo spirito di Next Generation Eu?
«A differenza degli Stati Uniti, dove le risorse per il rilancio sono state molto concentrate nel 2021, i 209 miliardi di euro della quota italiana del piano Next Generation Eu verranno erogati gradualmente nel corso di sei anni attraverso piani d’azione che dovranno essere estremamente precisi sul lungo termine. Siamo consapevoli che si focalizzeranno su alcune aree d’innovazione strategica e sulle quali insiste anche il processo di trasferimento tecnologico attuato dall’Incubatore 2i3T: energie pulite e rinnovabili, efficienza energetica degli edifici, trasporti sostenibili, digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, sviluppo del cloud, istruzione e formazione per le soft skill e le digital skill, agricoltura sostenibile e di precisione».

La pandemia ha accentuato alcune scelte o percorsi?
«Direi che ha confermato come cruciale l’evoluzione delle cosiddette “scienze della vita”. Proprio nel caso del Covid hanno dimostrato quanto sia centrale il ruolo del trasferimento tecnologico e dell’open innovation nel collegare sempre più rapidamente i risultati della ricerca accademica ad output industriali».

In generale, perché per voi è importante la vicinanza con le aziende?
«È strategica per dare concretezza ai nostri obiettivi. Così Torino diventa attrattiva. Un esempio emblematico? È accaduto l’anno scorso con Chiara Ambrogio, ricercatrice “tornata” da noi. Grazie al premio della Ue per il suo studio sul gene Kras, che provoca tumori a polmoni, pancreas e colon, ha dato il via al progetto Karma. Questo è il modello che immagino: una rete efficace ed efficiente».

La scienza e la tecnologia possono contribuire al mondo no profit?
«Eccome. L’innovazione nel Terzo Settore – nel senso più ampio del termine – rappresenta una delle sfide maggiori a cui siamo chiamati come scienziati in ambiti che vanno dall’ambiente alla medicina, all’agricoltura, alla formazione, all’economia, all’intelligenza artificiale e così via, non possiamo escludere dalla necessità di innovazione nessun ambito delle imprese sociali. Anche in questo caso si può ravvisare però un’interessantissima possibilità di interscambio e sinergia, di cui molte azioni sono già in essere. Queste imprese portano in sé grandissimi valori relazionali, di conoscenza capillare dei territori e del tessuto sociale, di contenuti culturali e creativi che possono costituire dati e risorse fondamentali per la ricerca accademica».

Dunque, non solo biologia, chimica, fisica o medicina…
«L’interdisciplinarità è fondamentale: proprio nell’area delle Scienze Umane e Sociali dell’Università l’Incubatore è sempre più impegnato nello scouting di idee e soluzioni innovative elaborate nei Dipartimenti di riferimento che possano contribuire allo sviluppo e all’evoluzione delle imprese del settore o alla creazione di nuove startup ad impatto sociale».

Insomma, più contaminazione tra cultura e scienza?
«È importante coltivare cervelli e risorse n campo scientifico ma anche culturale, umanistico e creativo: 2i3T avrà presto uno spazio al Campus Einaudi e, appena disponibile, anche nella nuova Città della scienza di Grugliasco. Tra gli azionisti, oltre all’Università, abbiamo Città Metropolitana, Regione Piemonte (tramite Finpiemonte) e Fondazione Links. E sono in atto partnership strategiche con realtà impegnate per lo sviluppo digitale delle startup. Tra le più recenti? Banco Azzoaglio, Fondazione Michelin Sviluppo, Tesi Square, Genera, Invitalia, Amazon Web Services, Eureka Ventures in collaborazione con UniTo».