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Dal presidente Giuseppe Scellato un appello alla contaminazione tra saperi: «Per il social tech si parlino di più ingegneri, informatici e operatori sociali».
Tra le startup anche chi si occupa d’intelligenza artificiale antropocentrica

Come mai l’incubatore i3P del Politecnico di Torino aderisce a Torino Social Impact? Perché generando dalla ricerca una impresa che funziona si creano posti di lavoro? Anche, ma non soltanto.
Lo spiega bene il presidente Giuseppe Scellato, ordinario di Ingegneria Economico Gestionale: «I valori dell’impact economy sono già molto presenti nel Dna dei giovani, il nostro compito è anche quello di portare alla consapevolezza di creare intenzionalmente ricadute sociali, misurarle, mettendo in piedi aziende sostenibili che sappiano creare valore aggiunto sul territorio».

I linguaggi da sintonizzare

La mission dell’incubatore universitario è descritta sul sito www.i3P.it: «Sostenere l’ecosistema dell’imprenditorialità, con l’obiettivo di generare sviluppo economico e occupazione nelle filiere industriali innovative. I3P adotta una strategia di collaborazione con soggetti privati e istituzioni, impegnati nella ricerca e nell’alta formazione, nei servizi per il trasferimento tecnologico, nel finanziamento dell’innovazione, nella internazionalizzazione».

Inconsapevolmente, i3P è già molto social impact? «In un certo senso sì – risponde ancora il professor Scellato – perché quasi tutti i settori d’intervento delle nostre startup hanno a che fare con questi aspetti. Penso, per esempio, alle molte realtà impegnate nella mobilità sostenibile, nel risparmio energetico, nel medicale e nei servizi innovativi nella sanità. Ma è sul fronte del social tech che dobbiamo imparare a dialogare, ci sono mondi che debbono cominciare a parlarsi». Una proposta? «Sì, direi quasi un appello: per mettere a frutto a partire da Torino tante competenze. Ingegneri, informatici, operatori sociali, economisti, debbono individuare insieme bisogni e necessità perché le migliori innovazioni tecnologiche possano essere a tutti gli effetti innovazioni sociali efficaci».

Le nuove frontiere

Visitare la cittadella politecnica a Torino è già d’impatto a qualsiasi ora del giorno: lingue e tratti somatici diversi, via vai e operosità da formiche, voglia di futuro e non solo per le giovani generazioni che affollano aule, laboratori e open space.

Un mix accattivante sul crinale di un dubbio fra due verbi – funzionare o esistere? per dirla con l’ultimo libro dello psicoanalista argentino Miguel Benesayag – ma che proprio i3P sembra interpretare con una opzione precisa. «La tecnologia non è neutrale – osserva Scellato –, per questo dobbiamo innervarla di etica e di senso civico, oltre che di buona capacità manageriale».

Dal luglio del 2019, giusto per capire le nuove frontiere del futuro prossimo, si è insediata in i3P un’azienda che costruisce soluzioni di “Intelligenza Artificiale antropocentrica”, ClearBox AI Solutions, che ha vinto il Premio Nazionale dell’Innovazione nell’area ICT.   ClearBox, come si dice oggi, si occupa di explainable artificial intelligence. Attraverso innovativi software di analisi statistica la società aiuta i propri clienti a capire perchè gli algoritmi arrivano a prendere determinate decisioni in ambiti che hanno un impatto sulla vita delle persone, per esempio la selezione del personale, nella sanità o nel pricing delle assicurazioni. L’obiettivo è evitare che gli algoritmi portino a delle scelte non volute da chi li ha impostati all’inizio e offrire maggiori capacità di controllo agli utilizzatori di sistemi di artificial intelligence.  Perché, magari, vengono penalizzate le donne, oppure l’appartenenza a una religione, come se l’algoritmo – osservando la realtà – imparasse le peggiori consuetudini di noi umani. A ClearBox, una piattaforma che permette di fornire spiegazioni umane alle decisioni prese da modelli esistenti di machine learning/deep Learning, lavorano già a impatto sociale.

I numeri

i3P ha compiuto vent’anni nel 2019 ed è stato riconosciuto come il miglior incubatore pubblico al mondo secondo l’UBI Global World Rankings of Business Incubators and Accelerators 2019-2020. Si tratta, per dire, di un benchmarking di 364 programmi di incubazione in 78 Paesi nel mondo: in “sviluppo delle competenze” l’incubatore torinese ha totalizzato 72 punti (contro 52 della media top incubatori), 74 (contro 58) in “performance post incubazione” e 55 (su 52) in “qualità dei team”.

Soltanto l’anno scorso i3P ha valutato 807 idee, 144 progetti e incubato 21 nuove aziende su un totale di 60 nel portafoglio complessivo. Ha generato valore: 29 startup hanno raccolto 16,2 milioni di euro in seed e early stage funding, per un post-money value totale di 110 milioni di euro.  Le startup – che hanno ottenuto svariati riconoscimenti sul campo – sono seguite con consulenza e mentoring, matchmaking, con il supporto allo sviluppo tecnico e nel fundraising. Dal 1999 a oggi, come è naturale in contesti con alto profilo di rischio tecnologico e di mercati, qualche azienda non ha sfondato: ma complessivamente i3P ha dato vita a 169 aziende ora indipendenti con un fatturato aggregato di oltre 161 milioni di euro. Inoltre, 29 sono state acquisite da gruppi industriali italiani e internazionali, contribuendo a diffondere innovazione nel tessuto industriale.