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La presidente della Fondazione per l’Architettura di Torino:
«Sotto la Mole ci sono energie e idee con cui studiare insieme come ripartire dopo il coronavirus»
La pandemia è un acceleratore. Può aiutare a ripensare gli spazi pubblici, l’economia, il sistema di vita. E gli architetti sono sicuramente protagonisti e comprimari in questo inatteso “social impact” a valle del lockdown per il Coronavirus. Ne è più che convinta Alessandra Siviero, classe 1971, laurea al Politecnico di Torino, professionista specializzata in bioarchietettura e sostenibilità, dal 2019 presidente della Fondazione per l’Architettura di Torino che aderisce a Torino Social Impact.
In questi giorni, dal 15 al 21 giugno, è impegnata in un’ampia riflessione sul ruolo dell’architettura nella contemporaneità al Fuorisalone Digital, edizione online dell’evento che, insieme al Salone del Mobile, fa parte della Milano Design Week. Su Fuorisalone TV, piattaforma streaming video, presenta due serie di video: “L’architettura è connessa” e “Bottom Up!”, con le riflessioni del nuovo festival dell’architettura di Torino. Dialoga con l’archistar giapponese Kengo Kuma, il fondatore di Eataly Oscar Farinetti, l’architetto Cino Zucchi, la signora dell’arte Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, l’industriale Giuseppe Lavazza e il designer Fabrizio Giugiaro. In programma 25 webinar, 30 ore di live talk con documentari, lezioni, interviste, anteprime di prodotto e concerti, oltre 200 video on demand.
Architetto Siviero, che belle contaminazioni interdisciplinari, molto impact. Ma non è che lei crede più in Milano che in Torino?
No, io la vedo così: Milano e Torino sono una grande megalopoli del mondo, connessa da uno scambio permanente di conoscenza: con la nostra partecipazione le due città si alleano per immaginare il futuro dello spazio urbano. Oggi le città si devono focalizzare sull’urgenza di una nuova sostenibilità, accelerata dal Covid19. Per pensarla, gli architetti devono collaborare con tutti i soggetti della comunità per migliorare la qualità della vita. Questa sinergia Torino-Milano al Fuorisalone riflette la missione della nostra Fondazione: connettere l’architettura con tutte le disciplina culturali – l’arte, il cinema, il teatro, la musica, il food – e anche l’imprenditoria, l’industria e la società civile. Per mettere al centro la riflessione sulla funzione degli spazi collettivi.
Riusciremo a ripartire dopo il Covid?
Sì. Dobbiamo riuscire. E sono convinta che l’architettura possa dare un forte contributo per ripensare le città, le scuole, le imprese, la gestione degli eventi culturali e professionali. Il distanziamento è un problema, ma va affrontato senza mortificare o soffocare le buone relazioni. Come Fondazione abbiamo lanciato una call pubblica per raccogliere suggestioni proprio su come gestire l’emergenza virale “dal basso”.
E che cosa è venuto fuori?
Le esigenze sono molto diverse. Ed è chiaro: bisogna fare i conti con i problemi di liquidità. Occorre andare avanti per gradi. Chi aveva alloggi piccoli, durante il lockdown, ha sofferto di più. Dobbiamo prevedere le abitazioni con spazi comuni più grandi, uffici compatibili. Ho l’impressione che lo smart working ci seguirà per lungo tempo, almeno per quei lavori che lo consentono. Come architetti stiamo ripensando a certe progettazioni impostate subito prima del Covid. Mi riferisco, che so, alle dispense delle cucine, che quasi non consideravamo più…
Questo può valere per il nuovo o per le ristrutturazioni. Non si può rifare tutto ciò che al momento esiste…
È vero. Però ogni crisi può innescare un cambiamento positivo di rotta, accelerando l’evidenza dei problemi. Nel breve periodo, sicuramente, si dovrà puntare con decisione a tutto ciò che è sostenibile e riciclabile. Non vale solo per i professionisti dell’edilizia e della progettazione, ma come sensibilità diffusa da far crescere. Si può fare economia circolare anche nel piccolo. Dovremo tutti essere impegnati a ripensare le città.
D’accordo, ma come? In questo periodo rischiamo di sentirci schiacciati dalle emergenze e certo queste attenzioni non vengono messe in cima alla lista delle priorità.
Invece bisognerebbe. In che maniera? Creiamo occasioni di formazione e di sensibilizzazione. E partiamo dal piccolo, dai condomìni per esempio. Utilizzare al meglio gli ecobonus può essere una strada: efficienza energetica, con serramenti efficienti, doppi e magari “cappotti” sui muri. Tutti debbono sentirsi corresponsabili, amministratori in testa. Sto lavorando a un progetto con il giapponese Kengo Kuma su Milano. Nel Paese del Sol Levante sono molto più avanti di noi. Ma i protocolli per creare valore negli ambienti dove viviamo debbono diventare un bene più diffuso: carbon free, materiali, esposizione alla luce. Bisogna puntare su Torino, dove adesso ci sono anche costruzioni di punta come la Nuvola Lavazza o il grattacielo di Renzo Piano sede di Intesa Sanpaolo.
Come potrebbero essere i luoghi delle aziende attente alla impact economy?
Il benessere sul luogo di lavoro è importante. La qualità, armonia, luce, materiali. È un mix in cui potrà aiutarci anche la tecnologia della domotica, aiutando a utilizzare meno possibile, per dire, interruttori condivisi. Andranno rivisitati gli spazi comuni, le zone relax. E studiati meglio gli incontri virtuali.
Certo, l’aspetto delle relazioni è quello che più sta soffrendo in questo periodo. Ma esistono soluzioni?
Indubbiamente, serviranno più spazi esterni, in generale, non solo per le imprese: come drive in o teatri all’aperto. Luoghi dove la socialità possa esprimersi al meglio. La sindrome dell’edificio malato, come negli Stati Uniti, con i grattacieli completamente sigillati, andrà a modificarsi. Servirà maggiore aerazione, si tornerà alla possibilità di aprire le finestre. Dovremo studiare presto come reinventarci i cortili nelle case e nei ristoranti, i luoghi dimenticati. Anche d’inverno, magari scaldandoli con dei funghi… Potrebbero crearsi presto nuove e inattese occasioni di socialità.
Pensa che l’ecosistema di Torino Social Impact potrebbe aiutare a far nascere esperienze di punta nel senso indicato da lei?
Perché no? Bisogna però fare rete e mettere a fattor comunque idee, esperienze e creatività. Sfruttiamo questa capacità di Torino, diamoci molte opportunità, valorizziamo startup imprenditoria innovative, creiamo rete con un effetto moltiplicatore. Noi abbiamo appena iniziato la ristrutturazione della Casa dell’Architettura in via Piave: a pochi passi da via Garibaldi, nel giro di due anni diventerà un’occasione per ragionare anche di questi temi. Dobbiamo tutti guardare avanti, mi pare la prima buona carta della economia d’impatto.
Eventuali approfondimenti: www.fondazioneperlarchitettura.it
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