Il presidente della Fondazione spiega la seconda fase del progetto Tech4Good. Nei prossimi mesi saranno tre i filoni di attività tra Terzo settore e aziende ICT: la costruzione di una piattaforma per il match tra domanda e offerta, modelli di simulazione della residenzialità, ingegnerizzazione dell’esistente. «Intendiamo essere una cerniera per le migliori contaminazioni interdisciplinari con il Profit affinché la sostenibilità possa diventare una buona pratica per tutti»

Massimiliano Cipolletta, classe 1968, è nato a San Severino Marche, in provincia di Macerata. Ma tutta la sua formazione è avvenuta a Torino, dove vive e lavora. Amministratore delegato del Gruppo Scai, è vicepresidente dell’Unione Industriali e presidente della Fondazione Torino Wireless. In questa veste, partecipa attivamente alla evoluzione di Torino Social Impact.

Presidente Cipolletta, a che punto siamo con la digitalizzazione a Torino e dintorni?

«Il digitale, soprattutto dopo il Covid, è sempre più pervasivo nella vita quotidiana. Anche in alcuni ambiti come i servizi alla persona o i servizi educativi evidentemente connotati dalla prossimità. La pandemia, e mi dispiace assegnarle un lato positivo, ha obbligato e insegnato a tanti operatori e ai destinatari dei servizi, dai bambini e loro famigliari agli anziani, che si può anche agire a distanza. E che talvolta i risultati non sono nemmeno inferiori. Basti pensare alla tele riabilitazione e alla possibilità di condividere processi di cura in maniera sinergica tra più professionisti senza uscire da casa o dal proprio ambulatorio e alle grandi potenzialità di ingaggio dei caregiver che il digitale abilita».

E nel terzo settore che succede?

«Anche in questo ambito non è più una scelta, ma è una realtà. Tra l’altro, lo impone la recente riforma. E in molti casi lo richiedono i beneficiari e i donatori. Noi come Torino Wireless abbiamo intercettato questa esigenza attivando una nuova area di servizi che abbiamo chiamato digitalizzazione non profit. Siamo consapevoli che il non profit ha più che mai bisogno di essere efficace e competitivo, contenendo i costi. Inoltre, necessita di un approccio ad hoc per rendere efficienti i suoi processi e semplificare il lavoro delle persone».

In che cosa consistono questi specifici servizi?

«Proponiamo percorsi di trasformazione digitale nei diversi settori del non profit: dalla cultura al turismo, dal sociale ai temi legati alla sostenibilità. Si tratta di attività di posizionamento, analisi di opportunità, progettazione degli interventi, analisi delle competenze e progettazione di piani di formazione, realizzate anche grazie alle numerose partnership strategiche, tra cui Salesforce Italia, Sas Institute, PrivacyLab e Torino Social Impact».

Con Torino Social Impact siete in campo con il Progetto I3S, Innovazione per il Terzo Settore.

«È il fiore all’occhiello di questo nostro filone di attività. Nasce durante la pandemia, grazie a un contributo importante della Camera di commercio di Torino. Ed è il progetto strategico all’interno del Programma Tech4Good di Torino Social Impact. Ha come scopo esattamente l’accompagnamento alla transizione digitale del terzo settore. Nello specifico, si rivolge al mondo delle cooperative sociali e del volontariato rappresentato dai tre Enti di terzo livello partner del progetto: VOL.TO, Confcooperative Piemonte Nord e Lega Coop Piemonte e presenti nell’ampio partenariato di Torino Social Impact».

Dopo un primo periodo di contatto tra aziende le Terzo settore e dell’Ict sono emersi bisogni e richieste. Come andrete avanti nei prossimi mesi?

«Premetto che si stanno confermando sia l’utilità sia la strategicità della stretta collaborazione con i tre partner, interlocutori ideali in un processo così sfidante di supporto alla transizione digitale del terzo settore. Puntiamo ad avviare dimostratori e modelli replicabili.
Infatti, stiamo affrontando insieme il percorso tipico dell’innovazione: E cioè passare velocemente dalle idee ai progetti e dai progetti ai servizi. Inoltre, stiamo lavorando sul futuro progettando i profili professionali che dovranno accompagnare questa transizione».

D’accordo, ma concretamente che cosa vuol dire?

«Il primo anno di lavoro, tra il 2020 e il 2021, è stato decisamente sfidante per la necessità di fare tutto in modalità smart e a distanza. Si è rivelato fondamentale per comprendere in maniera approfondita i bisogni – rispetto a innovazione e digitalizzazione – del terzo settore.
Il secondo anno partito a maggio 2022, invece, come richiestoci anche dalla Giunta di Camera di commercio di Torino, significa la messa a terra delle idee raccolte».

Ci sono tre filoni di attività in cantiere. Come saranno articolati?

«Il primo riguarda la progettazione e la realizzazione di una piattaforma in grado di incrociare domanda e l’offerta di volontariato e servizi per il sociale. Sembra semplice a dirsi, ma non lo è. Soprattutto, al momento, le soluzioni esistenti non sono soddisfacenti e non supportano le evoluzioni che questo mondo richiede, prima tra tutti, un bilancio di competenze, anche digitali. Un requisito sempre più necessario tra i volontari per supportare persone, come gli anziani soli, che rischiamo il digital divide».

Più che altro, i destinatari dei servizi hanno necessità particolari, legate alla loro condizione disagiata.

«È così. Tant’è che il secondo filone di attività prevede la progettazione di modelli di simulazione/gaming di soluzione di residenzialità e di servizi per persone fragili. Un esempio? L’obiettivo è individuare strumenti e modelli per simulare l’inserimento di persone fragili (anziani, minori con patologie specifiche come l’autismo, eccetera) all’interno di nuovi ambienti (Case di cura, Comunità e Strutture ricettive per persone con disabilità). Come dire: il Metaverso non costituisce un pericolo, ma anche una grande opportunità».

Certo, bisogna guardare lungo. Ma fors’anche migliorare l’esistente. Come?

«Reingegnerizzando, per esempio, i servizi attuali di presa in carico domiciliare, in ottica di maggiore innovazione. È proprio questo lo scopo del nostro terzo filone di attività. L’obiettivo, direttamente condiviso con gli enti coinvolti attualmente nei servizi, è quello di migliorare l’esperienza degli utilizzatori, le modalità di erogazione e suggerire futuri sviluppi tramite l’applicazione di tecnologie e soluzioni ICT innovative. Insomma, una sorta di trasferimento tecnologico low tech».

Come si potrà consolidare il rapporto tra Torino Wireless e Torino Social Impact?

«Credo nell’impegno per un effetto coinvolgente a cascata sul mondo profit. Le principali major tecnologiche hanno spesso una soluzione per il no profit. Noi intendiamo essere una cerniera su queste “contaminazioni” interdisciplinari, anche perché potranno aiutare a declinare al meglio un termine usurato che deve diventare invece una buona pratica: la sostenibilità».

Un manager culturale come Paolo Verri ha proposto di allargare le maglie di Torino Social Impact a tutto il territorio piemontese per dare più forza al sistema. Che ne pensa?

«Credo che sia giusto e importante. La trasformazione digitale seria ha come prerequisito della crescita la collaborazione. E l’implementazione di grandi progettualità non può che passare tra gli stakeholder che operano su un territorio. Il partenariato pubblico-privato è la strada: meno cabine di regia, mi verrebbe da dire, ma molta più operatività. Che non significa, beninteso, andare in ordine sparso: servono gittate e punti di atterraggio in comune. Insomma, bisogna non perdere tempo. Sennò usciamo dalle stanze delle riunioni con progetti vecchi e già immersi nel Metaverso…».

Parliamo del futuro della città: come vede la vicenda travagliata del Centro per l’intelligenza artificiale?

«Qualcosa si sta muovendo. C’è la Commissione per lo Statuto della Fondazione. Si tratta, precisiamo, di mobilità sostenibile attraverso l’intelligenza artificiale. Forse non era l’idea iniziale, ma è un passo in avanti. Anche qui: non perdiamo tempo».

Torino sta diventando più policentrica: manifattura, terziario, innovazione. Come si possono sviluppare queste differenti vocazioni?

«Mi piace essere ottimista. La città ha ormai più anime, c’è una maggiore consapevolezza. Lavoriamo di più insieme. Se intendiamo dare a Torino una chance non possiamo pensare di cancellare le vocazioni di un tempo. La mobilità sostenibile è questo: non esclude il passato, ma include moltissimo futuro. Serve molta corresponsabilità. Anche per agganciare al meglio le risorse stanziate dal PNRR. Un’occasione irripetibile».

Francesco Antonioli